giovedì 27 dicembre 2012

Nuovo Kilometro

Verso la fine della seconda frontiera.

Intimoriti e tentatissimi di tornare indietro, lasciando la macchina abbandonata all'autoradio accesa sulla prima piazzola sotto la montagna.

Tergicristalli nevischio sciarpe vapore mentre si parla.

Guanti e guanti con le dita scoperte, si guida meglio e si può usare il touch screen del telefono ma tanto qui non prende.

Per un giorno una notte ore di buio lontani da internet, facebook non mi è mai mancato così tanto.

Verso la fine della seconda frontiera anche la prima ci sembrava non solo irraggiungibile, addirittura insuperabile. Insormontabile, era la parola giusta.

Tergicristalli nevischio sciarpe abbracci mentre si guida.

Appuntamento domani non c'è stanchezza che tenga, il progetto ci ha voluti dentro e il meccanismo ormai è avviato.

Tentatissimi di tornare indietro ma l'abbiamo voluto fino a un momento prima di partire.

Per il momento la macchina non l'abbandoniamo, facciamo almeno finire la canzone. Avanti per un nuovo kilometro.

martedì 26 giugno 2012

SOLO UN PO' DI PACE

Lasciandosi andare oltre il principio della notte aspettando il sonno con l'immaginazione che lancia il cuore oltre ogni ostacolo. Dimenticando sullo sfondo della giornata appena passata i cialtroni con le loro false promesse viziate dall'inconcludenza, i posti in cui ci si vive dentro in troppi, il momento storico che è sempre poco favorevole e anzi, mi sembra che favorevole non lo sia proprio più per niente. Dimenticarsi del rumore e lasciarsi andare al silenzio, perchè è anche di quello che abbiamo bisogno, del silenzio necessario per spegnere la luce e dire "Adesso basta. Adesso mi riposo anche io".

Vorrei solo un po' di pace. Per noi che stiamo qua, nella vita di tutti i giorni.

"Questo volevo dire. E adesso l'ho detto."

martedì 1 maggio 2012

COME FOSSE NORMALE

Non è cattivo, sono abbastanza d’accordo.

Lui è casinista, anche se vuole sembrare razionale, freddo e organizzato.
Lui è fragile, anche se vuole sembrare un duro.
Lui è tutte le cose che odia, compresa quella canzone che si sentiva dalla macchina che svoltava la curva, un pomeriggio come tanti, un giorno perso tra tante cose tutte uguali.

Conoscere Annalisa non è stato innamorarsi di lei, perché non di amore si è trattato. E’ stato il limite definitivo per capire e rendersi dolorosamente conto che lui non può fare il marito, non può fare il papà. Non se la sente. Gli fa paura. Perché allora ci sei arrivato, mi verrebbe da chiedergli, ma non è il momento. Forse dopo glielo chiederò. Dopo che si sarà un po’ dimenticato quanto brucia ed è amaro il sapore dell’umiliazione, di sua moglie che gli dice di andare via senza fare troppe storie, lei che ha cercato di limitarsi nella reazione dicendogli soltanto quelle due o tre cose, lei che ha cercato di non piangere urlare o ammazzarlo, in onore dell’amore del bambino che hanno avuto insieme. Non si tratta più solo di noi, ad un certo punto, un figlio è un preciso richiamo ad un senso di responsabilità più alto, che vola e sfiora il sacro, è un bambino, Dario, è solo un bambino e non sa che cosa sia la debolezza, cedere, sentire il profumo della conquista, dell’uomo che è materia irrazionale ed istinto animale, è solo un bambino nella casa che paghi con il mutuo, la lavastoviglie nuova, la cucina laccata, il nuovo quadro in corridoio, i tuoi suoceri al mare che cercano di coccolarvi, la pasta al pomodoro saltato, l’anguria, pranzare tutti insieme a Ferragosto, è solo un bambino che sorride in una foto con te che lo tieni in braccio e sorridi anche tu, è solo un bambino, dipendono da te i segni che lo faranno diventare un adolescente insicuro, un adulto inquieto con i suoi conflitti a fargli un’ingombrante compagnia.

Diventiamo padri ma siamo ancora bambini che hanno voglia di nuovi giocattoli, che si stancano del benessere conquistato e lo sentono già come un nuovo soffocamento e cercano nuova aria da respirare sentendosi ancora vivi perché lei dopo il parto aveva le smagliature, perché lei dopo il matrimonio era come data per scontata, perché lei, se ci pensi e guardi le altre, non è mai stata così carina, e tu avresti comunque potuto meritare di meglio.

Quante cose meschine che si pensano per cercare un alibi.
Voli internazionali, arrivi e partenze, disperate strazianti scene d’addio nei corridoi degli aeroporti, sulle banchine delle stazioni, in soggiorno con le tapparelle abbassate lei che grida tu che parli lei ti lancia i vestiti addosso, lei ti caccia, tu parli, tu pensi, tu vedi, tu vedi che è ora di andare, anche se cerchi di non lasciare il campo di battaglia e di non affondare perché se stasera te ne vai è proprio un guaio perché è vero, è successo per davvero qualcosa di grave, come lo diremo ai nostri genitori, cosa risponderemo ai prossimi amici che ci inviteranno a cena o ci chiederanno quando possono venire perché è stato il compleanno del bambino e non hanno potuto portagli nemmeno un regalino …

E’ che lui di fare il marito non se la sente più, non ce la fa. Di fare il papà forse sì, ma non vuole pensare più a niente, niente fallimento, niente dolore per sé e per gli altri, niente di un’esistenza che sta andando allo sprofondo e se ne porta dietro irrimediabilmente almeno altre due e solo per questo motivo se ne va ancora più giù. Niente da pensare di più di quello che vede dagli occhi chiusi. L’autoradio che è accesa e c’è quella stessa canzone di quella macchina che svoltava la curva un pomeriggio come tanti.
Parla di andare via senza fare troppe storie, senza fare rumore, ma lui quanto rumore dovrà fare sui vetri rotti di tutto questo prima di essere sparito in silenzio?

venerdì 27 aprile 2012

ABBRACCIAMI.


In tutto il tempo  che siamo stati lontani a volte te l’avrei chiesto. Quando riuscivo a mettere da parte l’orgoglio, quando provavo a cambiare prospettiva e a ragionare per assurdo da un altro punto di vista, il tuo. Quando ascoltavo le canzoni che raccontano di chi si è perso e ritrovato, di speranze, ipotesi, rabbia e futuro. Che parlano di amore, amore perfetto, amore che non c’è, amore che non è corrisposto, amore che è finito, amore che sta nascendo, amore che è diventato affetto, amore che una volta era amicizia.
La tristezza, la malinconia, il senso della distanza, il dispiacere della privazione. Ho pensato di chiamarti all’improvviso e rovesciare tutto, dire che non faceva niente, che a volte si litiga e a volte si fa pace, che la vita è così breve che passarla arrabbiati è un peccato. Avevo le parole migliori e le ho lasciate in custodia alle canzoni.

Abbracciami. Parlo troppo, devo sempre cercare il chiarimento di tutto, non mi accorgo che per sentirmi forte divento aggressivo, se ti devo chiedere scusa te la chiedo. Abbracciami, diamoci la conferma che abbiamo bisogno di volerci bene con tutte le imperfezioni. Abbracciami e restiamo così, fatti accarezzare la testa e lasciati dare un bacio sulla fronte. Come il figlio che ancora non sento di volere, come il padre che non ho mai sentito di voler essere, con l’amore che non ci ha fatti diventare una coppia e per il quale ormai non ha più importanza.

Ti avrei chiesto di abbracciarmi, l’altra sera nel parcheggio, quando eravamo imbarazzati e sembravamo solo distanti. Te l’avrei chiesto e avrei anche voluto dirti queste cose, ma per una volta ho deciso di stare in silenzio.



sabato 17 marzo 2012

BROMAZEPAM. Un posto dove andare (sesta ed ultima parte)

Emanuele è toscano, Davide è di Catania, Ferdinando abita a Milano, anche se è nato a Napoli. Rosa è mia amica da anni, è nata e vive a Napoli. Ci vediamo soprattutto quando siamo entrambi a Roma, ci sentiamo tutti i giorni. Fa la commessa in una libreria e la maschera al cinema. Emanuele è un rappresentante commerciale e sta sempre in giro in macchina, Davide vive alle spalle dell’impresa di famiglia; Ferdinando, da dopo la laurea, si occupa di marketing. Vengono da parti diverse d’Italia, ed io non so riprodurre fedelmente le varianti dialettali, quindi piuttosto che scimmiottarle e farlo male, ho riportato solo quelle di cui ero abbastanza sicuro. Per il resto, immaginali parlare come preferisci.  Sono ipocondriaci, frequentano un forum su internet in cui si analizzano le diagnosi e la sintomatologia della malattia del giorno e sono andati a Lucerna per un seminario chiamato “Tecniche innovative di autocontrollo. Sconfiggere gli episodi ansiosi legati alla fobia medica”. Alla fine, il seminario non c’è stato. Una fregatura; questo non lo sappiamo con certezza anche se lo possiamo facilmente supporre. Fino a quel momento, tutti e quattro si conoscevano virtualmente per via di qualche botta e risposta telematico, ma nessuno di loro si era mai incontrato di persona. Dopo un viaggio per alcuni decisamente faticoso (Rosa, ad esempio, è partita da Napoli in pullman e ci ha messo quindici ore. Paura dell’aereo e treni pieni), hanno deciso di dare un senso a tutti i loro spostamenti ed hanno passato il fine settimana insieme.

Fabiana è una ragazza di Roma, capace di essere molto simpatica quanto irrimediabilmente cafona. Lavora per una multinazionale dei detersivi ed era a Lucerna per un meeting aziendale del comparto Europa. Ha passato il fine settimana nello stesso albergo che i ragazzi hanno trovato all’ultimo momento. Le stanze erano tutte sullo stesso piano.

Prima di accettare di raccontare questa storia ci ho pensato un po’, visto che si sarebbe parlato di malattie e della paura di morire. Perché tutto questo spaventa un po’ anche me. A dire il vero, io penso che parlarne troppo porti pure un po’ sfiga. Tant’è.

giovedì 23 febbraio 2012

BROMAZEPAM. Un posto dove andare (quinta parte)

Scusa cara, una domanda. (Davide)

Dì. (Fabiana)

Ma tu, chi cazzo sei? (Davide)

‘Sto cafoooone! A ‘pocondriaco! A morti de culo! Fateve fa na grazia da quarche santo che s ‘nnate avanti così finite tutti sotto tera che manco ve n’accorgete! (Fabiana)

Senti, regina della rosticceria, dedicati gentilmente a rompere i coglioni a qualcun altro. (Davide)

Ma vaffanculo, va! (Fabiana)

Davide lasciala stare, non serve … che ore si sono fatte? (Ferdinando)

Sei meno un quarto. (Emanuele)

Certo che da fuori dobbiamo fare proprio un’impressione schifa, con tutti ‘sti discorsi … (Rosa)

Sopravviveremo. (Davide)

Senso. (Emanuele)

Cosa? (Ferdinando)

Abbiamo paura di non trovare in tempo un senso alle cose che facciamo. È per questo che abbiamo paura di morire. (Emanuele)

Mh. (Davide)

Abbiamo bisogno di trovare un senso per non pensare di aver perso il nostro tempo. (Emanuele)

Pure io a volte ci penso, a ‘sta cosa del senso … magari è vera … com’è vero che vorrei più leggerezza, certi giorni vorrei proprio essere scema. (Rosa)

Anche io. Non pensare, stare dentro alle cose che stai facendo e basta. (Ferdinando)

Forse invece ci serve un posto dove andare. La ricerca, lunga progettualità, quelle cose lì. (Davide)

Un obiettivo. (Rosa)

Un obiettivo. Qualche cosa più grande di noi, a cui dedicare tutti i nostri pensieri. Un’ambizione, ma dev’essere grandissima. Se è irrealizzabile, meglio ancora. (Davide)

Perché ci distrae. (Ferdinando)

Ci distrae, ci tiene impegnata la mente, è un modo per dedicare i nostri pensieri ad una finalità costruttiva.(Davide)

Se abbiamo paura di morire forse è anche perché abbiamo paura del dolore, della sofferenza. Il corpo che non è più lo stesso, cambia, si trasforma in peggio. (Emanuele)

Io credo che siamo anche ossessionati dal timore di perdere quello che abbiamo. Magari in modo inconsapevole, ma secondo me è anche questo. (Davide)

Siamo già così stanchi, abbiamo solo trent’anni. (Ferdinando)

Sì, è vero. Non sempre, però. Mi succede che certi giorni mi sento al posto giusto, mi sento sana. Invincibile. Come se stesse andando tutto bene, senza una piega, alla perfezione. Ragà, ma voi tornate a casa tutti stasera? (Rosa)

giovedì 19 gennaio 2012

BROMAZEPAM. Un posto dove andare (quarta parte)

A che minchia ci serve? (Davide)
 A esorcizzare ‘sta paura che abbiamo pure di nominarle. (Rosa)
Secondo me è una grandissima cazzata. (Davide)
Invece è da provare. Ema, tu che fai, ci provi con noi? (Ferdinando)
E senti, dai … proviamo! Ci potranno mai venire tutte insieme? Sclerosi multipla. (Emanuele)
Tumore al pancreas. (Rosa)
Acca. I. Vu. (Ferdinando)
Aneurisma cerebrale. (Emanuele)
Tumore al cervello. (Rosa)
Le neurodegenerative le dico io! (Emanuele)
Il tumore però è roba mia! (Rosa)
Vabbè, smezziamo, dai. Tumore tu, cervello io. (Emanuele)
Cinquanta e cinquanta. Ferdi, tocca a te. (Rosa)
Aids. (Ferdinando)
Alzheimer. (Emanuele)
Stomaco. (Rosa)
Eh? (Ferdinando)
Cancro allo stomaco. Sempre quello è. Faccio prima a dire i punti dove ti può venire. Davide, dai, fallo anche tu! (Rosa)
Uh che palle, … vabè. Infarto fulminante. Che muori di notte e non te ne accorgi. (Davide)
Però se non te ne accorgi non è male. È peggio se lo senti. (Ferdinando)
Un’amica mia infermiera dice che il male che ti fa quando ti viene un infarto è fortissimo, è uno dei peggiori. (Rosa)
Sentite. Me l’avete chiesto, io ve l’ho detto. Infarto di notte. Passiamo oltre. A chi tocca? (Davide)
Oh ma come cazzo state messi? (Fabiana)
Prego? (Emanuele)
È un’ora che ve se sente parlà de malattie e de disgrazie! Ma ve volete ripijà? (Fabiana)