domenica 28 novembre 2010

Passaggi al Centro/2

"La metropolitana (piena) di Roma ed io. Ma quando alla Sacher Film di Nanni Moretti ed alla Motorino Amaranto di Paolo Virzì le segretarie ti aprono il portone, ti sembra quasi di avercela fatta."

Penso che Roma abbia una magia che non ti aspetti. E' una magia che sta in certe persone. A Milano non so se succede. Sono chiacchiere, battute, scherzi, calore. Te ne accorgi alla Feltrinelli dove ridi con la commessa per la sua andatura e parli di cinesi, di Roma-Saigon e Roma Civitavecchia, di rosticcerie intestate...chiacchieri in un negozio del centro mentre guardi vecchie scatole di Subbuteo con i calciatori come ormai non se ne vendono più. Un indirizzo e due ritrovi gratuiti a settimana tra i subbuteoamatori e pensi che se avessi accettato il trasferimento qui avresti già trovato dei possibili nuovi amici.

E poi, a giornata finita, il commesso della rosticceria che al bancone ti saluta dicendoti "Ciao caro". Insomma, sensazioni da stereotipo, forse sì, però viverle è bello, riscalda. E poi questo quartiere. Essere a Prati senza saperlo. Dire "sto a Ottaviano" ignorando la geografia minima della città. Dettagli che sfuggono, cose banali. Eppure la poetica degli ossi di seppia.

venerdì 26 novembre 2010

Fumo sigarette spente (seconda parte)

Perchè aveva ragione chi aveva detto che quando finisci un film è una sensazione a suo modo terribile. Sai che quelle persone con cui hai condiviso spazi, tempi, pause, lavoro, fatica, gioia, frustrazione, sonno, risvegli, molto probabilmente non le vedrai più. E quasi sicuramente non le vedrai più con quell'intensità obbligata di quando ci hai lavorato insieme. 


Già mi mancano, un po' tutti loro. Qualcuno è già pronto a ripartire per altri progetti, qualcun altro andrà in vacanza. Ogni volta ciascuno di noi non è più lo stesso. Perchè ci portiamo pezzi di tutto ciò che è passato tra i giorni di lavorazione. Un lavoro che ci attraversa la vita e la rende diversa da quella degli altri. La diffidenza iniziale, la confidenza che giorno dopo giorno diventa un collante comune che abbatte le barriere, e un gruppo di lavoro diventa un grande clan dove le tensioni scorrono sotterranee, ogni tanto qua e là esplode il focolaio di una discussione o di un aperto litigio, ci si lamenta, ci si affatica, si rincorrono obiettivi che forse fuori da qui non avrebbero nessun senso, si sente crescere il lavoro che a Milano era solo un'idea sulle pagine della sceneggiatura, gli attori si muovono davanti ad una macchina da presa che si avvolge su di loro...e quanto si ride, dio mio quanto si ride.
Nelle pause forzate, nei tempi morti, in scena, in riunione, a pranzo, appoggiati ad un furgone, appena fuori dalla sartoria, seduti a fumare sulla sedia del regista, il mattino all'alba quando è tutta un'epidemia di occhi gonfi e occhiali da sole, in notturna sotto la pioggia finta che più di una volta finisce per bagnare anche noi.


Mi manca già tutto questo. Vorrei tornare indietro a fare un ultimo giorno di produzione. Solo uno, poi salgo in macchina e vado via, nemmeno lo strazio di veder smontare il set.


Fumo sigarette spente imitando l'attrice che non ha mai fumato in vita sua e si esercita a non fare la figura della cretina. 


Guardo il regista che porta per mano i suoi personaggi fino a che non saranno abbastanza forti per camminare da soli e andare incontro al pubblico.


Leggo il piano di produzione e vedo i tecnici che sbuffano perchè non hanno abbastanza tempo a disposizione per fare il proprio lavoro con la calma necessaria.


Accendo un televisore di servizio e vedo un pezzo dell'ultima puntata di un telefilm. Mi chiedo come sia andata a finire su quel set quando si è spento tutto.


Ripartiamo dall'ultimo autogrill prima del casello. Qualcuno ha telefonato a casa, qualche moglie aspetta il ritorno del marito, qualche amico aspetta racconti avventurosi, un uomo che si è improvvisato sia mamma che papà aspetta il ritorno della sua compagna...Qualcuno di noi propone una cena di rimpatriata.


Sono gli ultimi cinquanta chilometri di questa troupe. Sono sinceramente commosso. Mi dico che in fondo è stato solo un film.

giovedì 25 novembre 2010

Fumo sigarette spente (prima parte)

Quante volte abbiamo sognato un'automobile lanciata su una strada diretta a portarci da qualche parte.
Quante volte abbiamo immaginato di avere una destinazione precisa, una meta che giustificasse il viaggio e la fatica, la spossatezza, la notte attraversata da cruscotti accesi e abitacoli malamente illuminati.
Quante volte, fermi alla finestra di casa o dell'ufficio, guardando più o meno distrattamente le montagne in fondo all'orizzonte, perchè se in Sicilia ti affacci e vedi il mare qui in Lombardia sono le montagne quelle che vedi...quante volte abbiamo sognato di essere pronti per partire, per cambiare aria, per uscire da noi stessi almeno un po'.


Viaggiare come recupero per l'insoddisfazione, riempire il tempo tra noi ed i nostri giudizi con la parentesi morbida di un "non-avvenimento" (un viaggio), smarrito tra "non-luoghi" (autostrade, autogrill) insieme ad altre piccole luci nella notte, i "non-compagni" del "non-viaggio" (le altre automobili).


Stiamo viaggiando perchè abbiamo finito di lavorare e tutte queste parole sui non luoghi e sulle non cose sono solo briciole di discorsi che abbiamo fatto nelle notti di riprese, nelle albe di convocazioni, nelle giornate intere di primi piani e campi lunghi. Tutte queste parole sui non luoghi e sulle non cose sono solo briciole di discorsi che sto rovesciando io nel vuoto che si è già aperto dentro di me, dentro i miei compagni, tra il muso delle nostre automobili e camion e le strade di quella piccola città in cui abbiamo vissuto in tutti questi giorni di film.

Passaggi al Centro/1

Questo diario di bordo inizia così. Con parole macinate nel sudore, sbalzi di temperatura, treni regionali, biglietti giornalieri dell'ATAC, cartina della città accartocciata nello zaino, chilometri camminati da nord a sud, puntando all'est e tornando ad ovest. In questa nuova giornata romana che sta finendo. Con la tv accesa, continuo sottofondo. Domani si torna a Milano. Denise vuole raccontare la mia città, che non è neanche Milano...per vicinanza, semplicità e brevità rispondo sempre "Sono di Milano". E invece no. Sono di un posto lì vicino. Che ad oggi vuol dire ex fabbriche, nuove aree residenziali, tanti scheletri industriali da riconvertire, o almeno da valorizzare per donarli all'estetica della memoria.