venerdì 24 giugno 2011

RECENSIONI di SALA: "X-MEN - L'inizio"


Ci metti un po' a capire cosa c'è che non va. È una sottile inquietudine che ti penetra sotto la pelle. Non sai cosa sia, non sai cosa la possa aver scatenata. Stai lì seduto e guardi. Guardi le scene, i costumi, le facce, nulla ti entusiasma, nulla sembra familiare. E poi d'improvviso, lo capisci cosa c'è che non va, perché sullo schermo appare lui. I capelli con la sfumatura alta, le lunghe basette, il sigaro, lo zippo e il bicchiere di whisky in cui annegare i ricordi della sua lunga vita. Pronuncia solo un sonoro “vaffanculo”, ma il tuo cuore inizia a battere a mille. Lo riconosci, eccolo lì, ecco cos'è che mancava: l'aria strafottente, il cinismo, e i lunghi artigli di adamantio. Ebbene sì, ecco di cosa ci si rende conto. È vero che ho amato gli X-Men grazie ad un cartone che trasmettevano su Italia 1 alle 7.00 prima di andare a scuola, ma ciò che mi ha portato al cinema, a vedere i tre precedenti capitoli della saga e lo spin – off tutto incentrato su di lui, era proprio la figura dell'insegnante d'arte della scuola di Charles Xavier. Il resto non contava, perdeva importanza di fronte a Hugh Jackman che si muoveva sullo schermo nei panni mai così azzeccati di Wolverine. E la sua mancanza si sente, il suo sex appeal grezzo e animale, non viene compensato né da un Michael Fassbender dagli occhi e dal cuore d'acciaio, né da un James McAvoy che purtroppo perde la partita di fianco all'amico/rivale rivelando una nanezza non certo di charme (impietoso il confronto tra i due con addosso la tutina grigia).
Insomma X-Men l'inizio perde il suo personaggio più caratterizzante, senza trovarne un altro con lo stesso carisma, che possa risollevare una storia interessante (con un sottotesto politico affascinante da analizzare, ad esempio il fatto che chi predica lo sterminio dei non mutanti sia un sopravvissuto all'olocausto, la storia è ciclica, etc), ma lasciata a se stessa dal punto di vista registico. (Cecil)

martedì 14 giugno 2011

RECENSIONI di SALA: "Una notte da leoni 2"

Sboccato, volgare e sommamente divertente. Queste le parole per definire il secondo capitolo di Una notte da leoni, che riprende la trama del precedente ambientandolo a Bangkok, capitale della Thailandia. Questa volta a sposarsi è il dentista Stu (quello brutto con gli occhiali per intenderci) e a perdersi è il fratellino dello sposa (per altro minorenne). Il film, che pigia l'acceleratore sulla volgarità più spinta, con piselli in primo piano e scimmie che amano morderli, regala i suoi momenti migliori grazie a Zach Galifianakis, che con il suo personaggio grasso, rozzo, barbuto e sotto psicofarmaci, è ormai un'icona della commedia americana vietata ai minori. La sua presenza serve a scatenare le forze entropiche nascoste nelle vite rispettabili di Stu, morigerato dentista, e Phil, il cui aspetto da playboy da spiaggia nasconde in realtà un maestro elementare sposato e con figli piccoli. E così durante le ennesime 48 ore alla ricerca di una persona smarrita troviamo i nostri eroi (“il branco”, come li definisce Alan) che capeggiano una rivolta contro la polizia che finisce per incendiare parte di un quartiere, rapire un anziano monaco buddista dal suo monastero e flirtare, tramite gli ambigui rapporti di mister Chao, il cinese nano e nudo, con i rappresentanti delle varie mafie mondial, dai russi ai medio-orinetali fino a quella americana. Il tutto condito da alcool, droga e sesso, con un momento di autocoscienza di Stu sui suoi rapporti con le prostitute che ricordano da vicino alcune vicende del nostro paese (senza intenzione, comunque, che il film non arriva certo alla sociologia). Probabilmente questo secondo capitolo non vi farà spargere lacrime (da risate) come è successo a me durante la visione del primo film, poiché si è molto smorzato l'effetto sorpresa, ma vale una visione per chi ama farsi quattro grasse risate ignoranti. (Cecil)

domenica 12 giugno 2011

Resto sul set perché.

Non ho altri mezzi per tornare a Roma.

Il regista è papà.

Alla fine è un'esperienza affascinante.

Potrebbe essere l'ultima volta e vorrei godermela.

Quando mi ricapita?

Ci resti tu.

Si conoscono delle belle persone.

Alla troupe danno sempre la pizza.

Voglio vedere come va a finire.

Davide e Giacomo. Firenze, 6 Giugno 2011. Mentre giocavano a Roberto Saviano e Fabio Fazio in "Vieni via con me".

sabato 4 giugno 2011

Ritorno a Le Bazze (prima parte)

Ok. La Ziska è rimasta senza soldi. Prima che finisca l'aspettativa al lavoro e torni a prendere lo stipendio, giù le tapparelle, fuori tutto come all'Unieuro e via, si torna a Le Bazze. Che poi è il quartiere alle porte di Ravenna dove la Ziska è nata e cresciuta, ha fatto le medie, le superiori, le risse fuori dal primo centro commerciale della zona (LeBazze, appunto, un Ipercoop e trentacinque negozi aperti nel 1998, orario continuato 8-20. Una rivoluzione futuristica per tutti i Bazzani, dice la Ziska. I primi amori, il motorino, l'incisione dei nomi dei ragazzi sulle panchine con la punta delle chiavi e poi via via i giorni di sega a scuola, le corse verso il mare e più in là verso le prime discoteche ... insomma, il suo quartiere. Della sua città. Che poi, per come la sto descrivendo, vien fuori che la Ziska sembra un po' una creatura a metà tra una selvaggia e una vandala. E' solo un po' trucida e verace, questa Francesca Bertotti di anni 27, detta comunemente "Ziska" per via di sua nonna, di origine svizzera, che da piccola la chiamava, per l'appunto, "Franziska".

E' che Ziska Le Bazze le odia. Ma le odia veramente con cuore, forza e violenza. Alla fine non so perché con tanto accanimento. Forse perché ciò che ci protegge a volte finisce per opprimerci. Forse perché alle Bazze non c'è davvero niente da fare. C'è la fabbrica sullo sfondo, che come a Torino fanno le FIAT e a Sesto San Giovanni facevano l'acciaio, alle Bazze di Ravenna ci fanno le ceramiche. C'è il centro commerciale, ormai da dodici anni, ma le Bazze son sempre quelle. Palazzoni dove vive tanta gente modesta e per bene, mischiata a balordi che campeggiano davanti a certi portoni o dentro quei soliti tre o quattro bar, acquattati a sbrigare i loro traffici dentro vecchie automobili che stanno tirando gli ultimi e che in tutto il resto del paese sono scomparse da anni: qualche Uno, due 127, tre o quattro Tipo, addirittura ogni tanto un'Alfa Sud.