In tutto il tempo che siamo stati lontani a volte te l’avrei
chiesto. Quando riuscivo a mettere da parte l’orgoglio, quando provavo a
cambiare prospettiva e a ragionare per assurdo da un altro punto di vista, il
tuo. Quando ascoltavo le canzoni che raccontano di chi si è perso e ritrovato,
di speranze, ipotesi, rabbia e futuro. Che parlano di amore, amore perfetto, amore
che non c’è, amore che non è corrisposto, amore che è finito, amore che sta
nascendo, amore che è diventato affetto, amore che una volta era amicizia.
La tristezza, la malinconia, il senso
della distanza, il dispiacere della privazione. Ho pensato di chiamarti
all’improvviso e rovesciare tutto, dire che non faceva niente, che a volte si
litiga e a volte si fa pace, che la vita è così breve che passarla arrabbiati è
un peccato. Avevo le parole migliori e le ho lasciate in custodia alle canzoni.
Abbracciami. Parlo troppo, devo sempre cercare il chiarimento di tutto,
non mi accorgo che per sentirmi forte divento aggressivo, se ti devo chiedere
scusa te la chiedo. Abbracciami, diamoci la conferma che abbiamo bisogno di
volerci bene con tutte le imperfezioni. Abbracciami e restiamo così, fatti
accarezzare la testa e lasciati dare un bacio sulla fronte. Come il figlio che
ancora non sento di volere, come il padre che non ho mai sentito di voler
essere, con l’amore che non ci ha fatti diventare una coppia e per il quale
ormai non ha più importanza.
Ti avrei chiesto di abbracciarmi,
l’altra sera nel parcheggio, quando eravamo imbarazzati e sembravamo solo
distanti. Te l’avrei chiesto e avrei anche voluto dirti queste cose, ma per una
volta ho deciso di stare in silenzio.