giovedì 13 ottobre 2011

la RECE: "LA PELLE CHE ABITO" di Pedro Almodovar

L'ultimo Almodovar ha la capacità perturbante di entrare sotto pelle e di rimanere lì avvinghiato al tuo subconscio mentre ti chiedi se ciò che hai visto sia vero. La prospettiva che il regista spagnolo si confrontasse con un horror mi aveva lasciato perplessa, ma anche questa volta Pedro ce la fa mettendo in campo tutte le sue ossessioni analizzandole dal punto di vista più deformato e malato. Lontano anni luce dalle atmosfere sia dello splatter alle Hostel, anche se la sinossi con gli esperimenti malati di un chirurgo poteva far pensare a The Human Centipede, così come lontano dal sovrannaturale con fantasmi tanto in voga nel cinema spagnolo, Almodovar gira un film in cui ciò che agghiaccia sono le relazioni umane e la loro deriva. Partendo dalle sue tipiche ossessioni, lo scambio fra i sessi, gli amori folli, il Kitsch e le atmosfere anni '50, trasforma queste in qualcosa di oscuro e di devastante, in un amore che distrugge anche quello che più vorrebbe amare e si fissa su ciò che non può dare amore, come succede a tutti i personaggi maschili dei suoi film. Ma in questa pellicola anche le donne si rivelano fatali, non più capaci di quella “corrispondenza di amorosi sensi” che le rendeva salvifiche; bruciate da passioni troppo folli, sanno uccidere con leggerezza i loro stessi figli o uccidere se stesse. Nessuno si salva in questo bizzarro triangolo amoroso, in cui nessuno si fida dell'altro e tutti girano armati tra le quattro mura della prigione che si sono scelti. Perchè non c'è peggior carceriere di chi dice di amarti.(Cecil)