martedì 8 marzo 2011

Figlio della città (terza parte)


Bruno, perché non torni? Ti sta aspettando un sacco di gente, sono tutti qui per te, si danno il cambio, il giorno, la notte, non ti lasciano solo un attimo. Bruno, ti guardo e sembra che tu stia sorridendo, anche se hai un tubo che ti entra in bocca e mi vengono le lacrime a pensare che qualcuno ti abbia costretto a questa tortura. Come fai a sopportare quella roba in bocca, non ti basta quel tubo a darti la voglia di alzarti, staccartelo di dosso e andartene?
Bruno non verrò a trovarti un’altra volta, perché non riuscirò a dimenticare presto il senso di disperazione che c’è qua dentro, perché siamo due infelici, e no, basta, non voglio pensarci ancora, perché ho deciso che voglio cambiare e lasciare che tutto questo male che ho dentro se ne vada. Perché me lo devo. Perché fino ad ora non ho fatto che piangermi addosso. Perché sto male ma in fondo mi crogiolo nel mio dolore, e sai, quasi adesso mi viene da ridere a parlare di dolore, perché non ne ho il diritto, perché non mi posso permettere di avere il dolore di vivere, perché è una bestemmia, perché se sono qua ci sarà un perché. Bruno, cazzo, se tu fossi sveglio te lo direi, vorrei abbracciarti e stringerti per ringraziarti, e piangere di liberazione, perché è vederti su quel letto ad un passo dalla morte che mi dice che non è giusto, che in realtà siamo talmente viziati e non abbiamo bisogno più di niente e allora ci sembra di non avere più niente, di essere sperduti, di essere soli. Siamo solo fragili Bruno, io e te, anche se pensavo di no, siamo ugualmente fragili, ma non deboli.
E mi fa male, questo sì, pensare che per trovare il coraggio di guardarmi in faccia ho dovuto aspettare che tu finissi in questo stato. Peccato, Bruno, peccato, stringi, stringimi la mano, stringimi questa maledetta mano e dì a tua madre di smetterla di piangere e anche a Beatrice, perché quando piange si rovina quel viso splendido.